Nei giorni tristi che attraversiamo, carichi di dolore e di sofferenze a causa della pandemia che colpisce il mondo, ma l’Italia in particolare, sono molti gli esempi di altruismo e di civismo di cui siamo venuti a conoscenza, a cominciare dai medici e dagli infermieri che hanno dato prova, anche a costo della propria vita, del senso del dovere e dell’amore per il prossimo.
Tutti costoro meritano la nostra perenne riconoscenza.
Ed io oggi, giorno in cui cade il genetliaco della nostra amata Città, voglio ricordare un episodio – uno dei tanti – anche se è poca cosa in confronto agli odierni sacrifici di tutti gli operatori sanitari.
Nel 1911 fu approvata la legge Daneo-Credaro che mirava a delineare, per i maestri elementari, un corso di studi culturalmente valido e rispondente ai nuovi compiti che essi erano chiamati ad assolvere.
Nacque così il “Corso Biennale Magistrale” o “Ginnasio Magistrale”, una scuola alla quale si potevano iscrivere gli alunni di età non superiore a 21 anni, purché in possesso della licenza ginnasiale. Ciò perché, nell’intento del legislatore, i due anni del corso magistrale dovevano servire ad integrare gli studi fatti nel ginnasio, con una preparazione pedagogica e didattica specifica. Infatti il ministro Credaro in un suo discorso definì il corso magistrale «scuola di applicazione», precisando:
«La cultura generale degli alunni è attestata dalla licenza ginnasiale ch’essi devono possedere; tale cultura «deve essere rielaborata in vista del fine professionale del Corso e in modo pratico ed esercitativo [...]. Il corso «magistrale non è un istituto di cultura teorica; in esso non si acquista il sapere, ma più propriamente l’abito «del fare».
Nell’ottobre del 1914 l’Amministrazione comunale di Vittoria chiese e ottenne di ospitare uno di questi corsi, assumendo l’onere di contribuire alla spesa del personale con la somma di £ 2.000 per il primo anno scolastico e di £ 3.000 per gli anni seguenti. Erano a carico del Comune anche le spese per i locali, l’illuminazione, il riscaldamento, l’arredamento scolastico, il materiale scientifico, il personale di servizio, l’attrezzatura della palestra ginnastica, la biblioteca scolastica. Le lezioni cominciarono il 2 gennaio 1915 nei locali del Ginnasio attigui alla Chiesa di san Biagio. Pochi giorni dopo iniziò anche il tirocinio nelle classi elementari, che era di 10 ore settimanali.
Il secondo anno scolastico cominciò regolarmente e nel mese di marzo del 1916 il Comune attivò anche il giardino d’infanzia, previsto dal regolamento ministeriale per le esercitazioni di tirocinio.
In tal modo Vittoria ebbe, dal 1915 e fino alla soppressione del Ginnasio magistrale nel 1923 (anno della riforma Gentile), un giardino d’infanzia froebeliano annesso al Ginnasio Magistrale, ospitato al piano terra dell’edificio attiguo alla Chiesa di s. Biagio. Esso accoglieva i bambini dai quattro ai sei anni di ambo i sessi, metà dei quali frequentava gratuitamente, e gli altri pagando una retta di £ 1,5 al mese. Avevano diritto all’ammissione gratuita, in ordine, gli orfani di entrambi i genitori, poi i figli dei richiamati in guerra, (non dimentichiamo che era in corso la guerra mondiale 1915-18) poi gli orfani di madre, infine gli altri poveri. Stesso criterio per la refezione scolastica: era gratuita per i poveri e a pagamento per gli altri. La gestione amministrativa era affidata al Patronato Scolastico. Ricordo, a questo proposito, che il giardino d’infanzia froebeliano rappresenta per Vittoria l’unica esperienza di scuola dell’infanzia specializzata. Mai più Vittoria ha avuto un giardino d’infanzia, né una scuola specializzata nel metodo Montessori (che è quello maggiormente apprezzato nel mondo anglosassone), né in quello delle sorelle Agazzi.
E veniamo al punto. Abbiamo detto che si era in guerra. Ebbene, nell’estate 1916, il giardino d’infanzia, per scelta spontanea della maestra Giovanna La Rosa, restò aperto per i figli dei combattenti e la maestra, con l’aiuto volontario di alcune tirocinanti della 1ª classe del Corso Magistrale, prestò servizio gratuitamente per tutta l’estate, mentre il Patronato Scolastico forniva la refezione per i bambini.
Un esempio, modesto, di civismo e di amore per il prossimo, che merita di essere ricordato per dimostrare come il popolo vittoriese non sia inferiore agli altri, a dispetto del “giornalista” Vittorio Feltri, per umanità e senso civico; quel popolo del quale gli altri preferiscono spesso mettere in risalto i difetti anziché i pregi; quel popolo che non di rado difetta di identità culturale e indulge all’autodenigrazione.
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